Il n. 1 della fanzine UN’AMBIGUA UTOPIA è stata stampata in offsett e pinzata con una cucitrice nel dicembre 1977, in 500 copie, se ben ricordiamo e al costo di Lire 400.Ne sono usciti altri 8 numeri. Il n. 9, l’ultimo, uscì nel II trimestre del 1982 (era diventata una rivista trimestrale), stampato in n. 3000 copie, al costo di Lire 5.000 (allora l’inflazione non scherzava…).
Nell’estate del 2020, in giugno, è uscito il n. 10, come numero unico.
Molte cose sono successe dal dicembre 1977 ad oggi. Della redazione di allora siamo rimasti in otto, due colonne della redazione (Antonio e Giancarlo) ci hanno lasciato, Giuliano ha scelto di non partecipare, Pietro è molto anziano e poco attivo e tutti noi che qui trovate elencati siamo vecchietti e in pensione. Ma non abbiamo mollato, ancora. Questo scrivevamo nel 1977 nella quarta di copertina:“(…) la nostra scelta deriva dalla convinzione che la SF non tratta di utopie impossibili, ma è calata nella realtà.” (…)
“Questa è una pubblicazione a cura di un gruppo ristretto (per ora) di compagni che si sono ritrovati uniti nella passione per la letteratura di fantascienza e che la intendono non solo come pura evasione ma anche e soprattutto come chiave, senz’altro appassionante, di lettura dei problemi di ieri, oggi e domani.”
Hanno ancora senso queste parole programmatiche? Secondo noi sì; ma hanno un senso diverso da quello che avevano 40 e rotti anni fa.
La nascita del primo collettivo e della rivista avvenivano in un decennio di scontro generalizzato che non aveva risparmiato nulla: lavoro, rapporti personali, autorità, corpo, cultura.
Un’Ambigua Utopia rappresentava compiutamente, soprattutto nei numeri da 4 all’8, un percorso politico e culturale all’interno di quel Movimento che, partito dall’obiettivo del comunismo, rimodulava il suo lavoro all’interno delle nuove forme che, a partire da metà degli anni Ottanta, caratterizzeranno l’antagonismo in Italia; quelle della militanza politica e della militanza culturale. Il 1977 era riuscito a mettere assieme l’impegno politico sul territorio, in fabbrica e nelle scuole, unito a forme diffuse di volontariato sociale, declinati all’interno di un lavoro culturale in cui cultura di massa e tradizione culturale avevano raggiunto uno straordinario collegamento.
La storia di UAU è dunque tipica di quegli anni, dove ogni specificità era capace di ricomporsi in maniera molto naturale a una moltitudine diffusa e attenta alle novità culturali e al rispetto del fenomeno dell’autoproduzione, ovvero della creazione di una entità collettiva in grado di mantenere compatto il sapere di costruire una rivista. Si trattava, allora, delle prime sperimentazioni di lavoro culturale che vedevano condividere i compiti del lavoro materiale (tipografo, compositore, redattore, distributore, …) con quelli di ideazione, discussione, grafica e scrittura. La novità era che il collettivo sapeva esprimere tutti gli aspetti creativi, “ognuno secondo le proprie capacità”, nell’idea che le componenti del saper fare materiale (con qualità e intelligenza) fossero un aspetto fondamentale del lavoro culturale e non un contributo accessorio. Paradossalmente è la fantascienza (su un modello statunitense nato in epoca rooseveltiana) a presentare le prime edizioni completamente autogestite da lettori e autori.
Il Collettivo di UAU nacque dall’idea che esistesse una sintonia tra una parte della fantascienza e il progetto politico dei redattori, così come esistesse una fantascienza che esprimeva contenuti e modelli politici inaccettabili. La scoperta era che la fantascienza avesse identità politiche molto forti e sempre in contrasto con lo stato di cose presenti. A una fantascienza socialista, libertaria, ecologista se ne opponeva altre con caratteristiche elitarie, tecnocratiche, razziste e militariste. Il Collettivo originale vide in questo studio e nella divulgazione dei risultati una prosecuzione del suo impegno politico nel campo della cultura di massa. Questo approccio della “fantascienza di sinistra” entrava anche direttamente in conflitto con una tradizione che vedeva questo genere letterario e i suoi appassionati accordati attorno a un’idea di salvaguardia di apoliticità della loro letteratura preferita che quindi accettava tra le sue fila anche un nutrito gruppo di estremisti di destra. La fantascienza quindi è un territorio di grande potenzialità creativa, di impegno e di divertimento, all’interno del quale svolgere un’azione di controcultura e di costruzione dell’egemonia.
Contemporaneamente la fantascienza si ritrova a rappresentare una serie di trasformazioni radicali del lavoro, della vita materiale, dei rapporti sociali e dello stesso corpo dell’umano che stavano avvenendo a livello mondiale. Certamente su impulso di Antonio Caronia, al lavoro politico portato dalle esperienze di contestazione e impegno dei movimenti degli anni Sessanta-Settanta nella fantascienza (un percorso dalla politica alla fantascienza) se ne affianca uno che con gli strumenti della fantascienza legge la società e ne interpreta le trasformazioni in atto (un percorso dalla fantascienza alla politica). Sono due aspetti che nascono all’interno del collettivo, maturano e assumono una qualche autonomia reciproca. Il secondo, che individuava con eccezionale rapidità rispetto al mondo culturale italiano temi come il cyborg, la simulazione, la virtualizzazione e la coscienza degli oggetti, considerava la fantascienza come una curiosa “cassetta degli attrezzi” che offriva metafore dotate di eccezionale capacità descrittiva, cioè comprendeva che la fantascienza aveva costruito un immaginario che avrebbe governato la vita del pianeta.
Sempre per parlare di quelle due anime del Collettivo, che per alcuni anni furono superbamente intricate, si potrebbe dire che la prima era interessata ai meccanismi letterari e creativi che riuscivano a produrre la fantascienza, soprattutto quella progressista, e a determinarne il valore, la seconda, invece, intendeva modificare gli strumenti e gli obiettivi della politica stessa nell’idea che il dizionario della fantascienza era quello che meglio leggeva le trasformazioni produttive. Quasi diremmo oggi con un sorriso: una più marziana e l’altra più marxiana.
La sfida che ci e vi proponiamo è, partendo da lì, parlare ancora di SF (e del mondo d’oggi), del passato, del presente e del futuro del mondo d’oggi; come abbiamo anche fatto nelle poche righe che avete letto sopra.
Una delle caratteristiche di UN’AMBIGUA UTOPIA era quella di sviluppare in ogni numero un tema specifico, anche se non solo di quel tema si parlava. Per il n. 11 abbiamo scelto il tema DISTOPIE.
Vogliamo mantenere il più possibile continuità dal n. 1 al n. 11. Il n. 10 nasce ed è stato realizzato da persone che, a differenza di tutti noi, erano restati in contatto con Antonio Caronia il quale ha donato loro tutto il suo archivio e la sua biblioteca (la trovate a Cascina Torchiera e per saperne di più cliccate su http://archivio-uau.online/). Il n. 11 nasce invece da persone, amici, che, già da qualche anno si incontravano, dopo quarant’anni, ogni tre mesi, a pranzo o cena, a casa, a rotazione, di ciascuno di loro. Solo Marco (Abate) che nel 1977 aveva 16 anni ha scelto di non continuare come redattore. Gli abbiamo comunque chiesto di collaborare con noi e di scrivere per UAU.