Da questo articolo, iniziamo una serie dedicata alla Fantascienza al femminile. Sono articoli scritti da Laura Coci , nostra collaboratrice, per la rivista on-line vitaminevaganti e che, gentilmente, ci ha permesso di pubblicare nel nostro Blog.
«Ho scritto una ventina di racconti di fantascienza […] – così Damiano Malabaila – Li ho scritti per lo più di getto, cercando di dare forma narrativa ad una intuizione puntiforme, cercando di raccontare in altri termini (se sono simbolici lo sono inconsapevolmente) un certo tipo di esperienza non rara: l’esperienza di una smagliatura, di un vizio di forma che vanifica uno od un altro aspetto della nostra civiltà o del nostro universo morale».
Damiano Malabaila è Primo Levi (la citazione da un’intervista a “L’Unità” del 1966): nell’ambito della sua ampia produzione la science fiction occupa una posizione significativa, coerente con le opere cosiddette maggiori, tuttavia risulta quasi sistematicamente trascurata. Sulla fantascienza grava infatti un pregiudizio diffuso, che porta a considerare questo genere, peraltro di difficile definizione, indegno di essere ascritto a pieno titolo alla letteratura propriamente detta.
A riguardo non è forse un caso che a Doris Lessing il Premio Nobel per la letteratura sia stato attribuito soltanto nel 2007, dopo che questa straordinaria autrice (già segnalata nel 1962) aveva fatto ritorno alla rassicurante narrativa realista, lasciando la produzione fantascientifica cui si era dedicata negli anni Settanta. «Nel mio mondo, quello della narrativa letteraria, – dichiara Kazuo Ishiguro, scrittore capace di attraversare i generi, nel 2017 pure vincitore del Nobel per la letteratura – per anni c’è stato un pregiudizio nei confronti della scrittura di fantascienza. Penso che sia stata una perdita per il mondo della letteratura, e non viceversa» (da un’intervista a “The Herald” del 2011).
Il pregiudizio nei confronti della fantascienza, «ghettizzata e stigmatizzata», influenza negativamente anche lettori e lettrici, facendo loro abbassare la soglia di attenzione durante la lettura e compromettendo la comprensione, come hanno verificato sperimentalmente due studiosi statunitensi, Chris Galaver e Dan Johnson, autori del saggio The literary genre effect, del 2017 (si veda l’approfondimento di Laura Garonzi in https://ricciardielloblog.wordpress.com/2018/04/06/il-pregiudizio-verso-la-fantascienza/).
Hanno certo giocato contro la fantascienza anche altri fattori, indipendenti dall’accademia: la stampa in tirature di bassa qualità (rilegature malferme, carta scadente, margini ridotti), le copertine improbabili (di gusto marcatamente splatter o sessista), le pessime traduzioni dalla lingua inglese (che spesso non rendono giustizia ai testi, talvolta resi quasi incomprensibili). È anche significativo che con l’eccezione di Mondadori, editore della serie Urania, le grandi case editrici raramente stampino fantascienza, come del resto accade ad altra letteratura di genere: una timida inversione di tendenza è leggibile negli ultimi tempi, poiché Adelphi ha pubblicato romanzi di Matthew P. Sheel e di Theodor Sturgeon (nonché altri di Raymond Chandler e Ian Fleming).
Che cos’è la fantascienza? (A formulare la domanda si doveva pur arrivare…). È «la letteratura dell’immaginario razionale» (Roberto Del Piano): un genere ibrido, onnivoro, capace di ingerirne altri (ma non sempre di metabolizzarli), di ardua definizione, disperso in diramazioni molteplici, insofferente di gabbie, linguistiche e non. Si apparentano con la science fiction e i suoi sottogeneri scrittrici e scrittori solidamente riconducibili a questo ambito ma anche ‘insospettabili’: oltre a Primo Levi, Doris Lessing e Kazuo Ishiguro, già menzionati, Jack London, Franz Kafka, Charlotte Perkins Gilman, Michail Bulgàkov, Aldous Huxley, Italo Calvino… L’elenco, evidentemente, potrebbe continuare, verso l’infinito e oltre.
«Fin da quando la situazione si è fatta seria – così Alice Sheldon, alias James Tiptree Jr – fin da quando ci siamo resi conto che corriamo veramente il pericolo di auto-distruggerci, di bombardare, o avvelenare, o ingolfare, o soffocare a morte il pianeta, oppure – ed è la cosa peggiore – di uccidere la nostra stessa umanità con la tirannia fascista o semplicemente con la sovrappopolazione, la fantascienza è diventata il solo luogo in cui è possibile parlare di tutto questo» (la citazione dalla Nota dell’autore al racconto Her Smoke Rose Up Forever).
La fantascienza è un genere femminile. E non solo perché la letteratura è concorde o quasi nell’attribuirne l’invenzione a Mary Wollstonecraft Godwin, compagna di vita di Percy Bysshe Shelley, che appena diciannovenne dà alla luce lo straordinario Frankenstein e lo pubblica nel 1818. La science fiction delle donne nasce dunque con l’Illuminismo che apre alle inquietudini del nuovo secolo, attraversa l’Ottocento e ne fa proprie le ideologie, il Socialismo e l’Anarchismo in primis, rielaborate e attualizzate nel Novecento grazie all’impegno suffragista di Charlotte Perkins Gilman (Herland, 1915) e alla riflessione femminista di Ursula Le Guin (The Disposessed, 1974).
Sono le donne le più interessate a cambiare l’ordine delle cose, che da troppo tempo (duemilacinquecento anni?) le vede subordinate; a destrutturare stereotipi e pregiudizi, giocando con i generi (sia antropologici sia letterari) e contaminandoli; a pensare a un mondo migliore possibile per sé stesse e per l’umanità intera, perché in una società in cui i diritti sono garantiti a tutte e a tutti la qualità della vita è senza alcun dubbio migliore; a creare scenari alternativi nei quali la storia ha seguito, segue, seguirà altri percorsi, con la capacità di prevedere e ricomporre contingenze e variabili; a trovare uno spazio, per quanto minore, nel quale sia possibile «parlare di tutto questo» a donne e uomini, magari attraverso un nome di penna maschile, per mimetizzarsi in un genere considerato per tradizione appannaggio di autori uomini o per beffarsi ancora una volta, con garbo, dei ruoli assegnati a priori.
E poi, la fantascienza delle donne può cambiare la storia: lo dimostra Swastika night, il libro profetico che Katharine Burdekin dà alle stampe nel 1937 e che viene ripubblicato nel 1940 nella collana “Left Book Club”, i libri della sinistra, quando – e non era affatto scontato – designando primo ministro Winston Churchill la Gran Bretagna rifiuta la pace separata con la Germania. Se Katharine ha convinto anche un solo lettore o lettrice inglese della barbarie nazista prossima ventura in caso di vittoria del Reich, è riuscita nel fine che dovrebbe animare chiunque scriva e diffonda ciò che ha scritto: essere coscienza onesta e vigile, capace di fronteggiare i poteri forti e superare le avversità con la consapevolezza del compito prefissato; operare con tutte le proprie energie e secondo le proprie inclinazioni per rendere il mondo un luogo migliore, per sé e per l’umanità intera. È la lezione di un grande visionario, maestro sublime, poeta e profeta: Dante.
Scrivere di fantascienza delle donne è un atto di passione e di giustizia: non per istituire una riserva, ma per ricercare e rendere ragione di uno specifico culturale e letterario. La terra è seminesplorata ma non incognita: a partire dagli anni Settanta, negli Stati Uniti e in Italia, si sono susseguite alcune antologie di autrici (con copertine quanto mai sessiste, del tutto improprie rispetto ai racconti contenuti); si sono moltiplicati studi e approfondimenti che, soprattutto nel mondo anglosassone, hanno portato alla redazione di biografie di alcune autrici di valore (come per le menzionate Burdekin e Sheldon, significativamente studiate da donne); ancora, nel 2015 un’accademica (è docente di Lingua e Traduzione inglese presso l’Università di Napoli L’Orientale), Eleonora Federici, ha pubblicato per Carocci il volumeQuando la fantascienza è donna. Dalle utopie femminili del secolo XIX all’età contemporanea.
Scrivere di fantascienza delle donne è una bella avventura: significa iniziare un percorso, programmandone alcune stazioni, senza però sapere quale sarà l’esatto punto d’arrivo, con la consapevolezza di intraprendere uno tra i tanti cammini possibili, che andrà costruendosi da sé, con vitalità capricciosa e ribelle, con divagazioni e imprevisti che certo potranno portare fuori strada ma anche favorire incontri provvidenziali. “Vitamine Vaganti” si appresta dunque a ospitare con cadenza anarchica un’antologia di autrici (non di testi) tra le molte possibili, in progress, con eventuali variazioni in itinere.
Roberto Del Piano ha censito 272 scrittrici (lista non esaustiva): ne saranno presentate trentatré (di cui tre, amatissime, anticipate). Eccole: la capostipite Mary Shelley (“Vitamine Vaganti” n. 86); le antesignane Charlotte Perkins Gilman, Gertrude Barrows Bennett e Katharine Burdekin (quest’ultima in “Vitamine Vaganti” n. 74); le autrici della fantascienza classica, tra gli anni Trenta e i primi Sessanta, Catherine L. Moore, Leigh Brackett, Judith Merrill, Naomi Mitchison, cui si apparentano la prima generazione di italiane (Lina Gerelli, Nora De Siebert, Maria & Ornella De Barba) e la seconda (Anna Rinonapoli, Daniela Piegai, Roberta Rambelli); la straordinaria Alice Sheldon (“Vitamine Vaganti” nn. 78-79-80) e il Premio Nobel Doris Lessing; le narratrici femministe degli anni Settanta e Ottanta Kate Wilhelm, Ursula K. Le Guin, Kit Reed, Joanna Russ, Carolyn J. Cherry; le esponenti dell’evoluzione degli anni Ottanta Connie Willis, Octavia E. Butler, Nancy Kress, Vonda McIntyre, Joan D. Vinge; le scrittrici cyber punk Pat Cadigan e Annalee Newitz e quelle delle seconde generazioni migranti Vandana Singh e Nnedi Okorafor; fino a rappresentanti di spicco ed emergenti della nuova science fiction italiana (Nicoletta Vallorani, Romina Braggion, Francesca Cavallero).
È privilegiato il taglio diacronico, che unisce storia e letteratura: un paradosso soltanto in apparenza, perché i romanzi e i racconti della fantascienza si collocano nella storia del proprio tempo, si leggono in controluce rispetto agli avvenimenti contemporanei. I testi sono scelti secondo parametri assolutamente soggettivi: ragioni di gusto, presenza nella biblioteca di casa, reperibilità nel parallelo mercato vintage… E generosità di ambigui utopisti, cultori del genere, appassionati lovecraftiani, che informati dell’impresa hanno iniziato a far piovere nella nostra casella postale libri e riviste che contengono fantascienza femminile, con il senso di appartenenza e la solidarietà di una minoranza determinata e consapevole.
Scrivere di fantascienza delle donne è, infine, un’emozione che merita di essere vissuta e raccontata: significa conoscere biografie coraggiose ed eccentriche, partecipando a vite che non sono la mia; leggere testi talvolta dimenticati o poco noti, cogliendone il valore e trasmettendolo; essere accolta amorevolmente in un consesso di grandi donne e madri simboliche, conversando con loro attraverso i testi che queste hanno scritto, affinché, un passo dopo l’altro, le donne non smettano mai di camminare.
Articolo di Laura Coci